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Il mistero del Cunsky non è ancora risolto

In Il Commento on novembre 4, 2009 at 8:11 PM

cunskyQuesta è una storia dove si può mentire raccontando la verità. È una favola, ma non raccontatela ai bambini. Non ancora. Anche se a loro piacerebbe: ci sono le navi, forse i pirati che le inabissano, e la gente che ha paura e alla fine arrivano i buoni che scoprono che il mare è limpido e pulito. Dipende da dove le peschi, queste storie. Da dove tuffi l’amo. E nel mare di Cetraro pesca il governo, e l’importante è mettere il punto in fondo all’ultima riga.

Ha fatto in fretta: 30 anni per intrecciare i fili di una vicenda di affari fra Stato, ‘ndrangheta, Paesi esteri e poi poche ore per dire che i calabresi sono pazzi, a voler vederci il Diavolo. Si erano allarmati dopo il riscontro alle parole del pentito Francesco Fonti: «A 11 miglia a largo di Cetraro ho affondato per conto della ‘ndrangheta un relitto russo, il Cunski. Ce ne sono a decine, intorno alla costa. Sono stipate di bidoni pieni di rifiuti radioattivi». La procura di Paola (Cosenza) andò giù e trovò una nave simile alla descrizione offerta dal pentito.

A sei mesi da quella denuncia, a tre mesi dalla crisi economica che ne è seguita, a 45 giorni dalle foto subacquee della procura, si è mosso il ministero dell’Ambiente. La Prestigiacomo sentenziò: «Quel relitto non è il Cunski, ma una nave passeggeri affondata nel 1917, di nome Catania, silurata il 16 marzo 1917, nel corso della prima guerra mondiale, da un sommergibile tedesco». Lo aveva ripreso e riprodotto la nave Oceano, spedita lì dal ministero stesso. Perfetto, preciso, il lavoro finito, e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso disse subito: «Sì, è così». È così. Mentire è dire la verità. Dipende da dove guardi. I pescatori di Cetraro dissero all’Unità, già 40 giorni fa: «Lì vicino c’è una nave affondata nella prima guerra mondiale». Lo sapevano i padri e i nonni. E lo intuì anche il pm Franco Greco, ascoltato dalla commissione rifiuti nel 24 gennaio 2006 e titolare ai tempi di un’inchiesta sullo smarrimento delle navi a perdere. Una parte di quella seduta ieri è tornata a galla. In un documento
si dice che le navi in quella zona sono tre: «…è stato rilevato un corpo estraneo della lunghezza di 126 metri… potrebbe essere una nave… si trova a 680 metri di profondità». Greco accenna ad altri ritrovamenti: «…una nave lunga tra gli 88 e i 108 metri, larga dai 15 ai 20 metri, a 380 metri di profondità. Che perde liquido scuro… e deve essere il carico della nave che appoggiandosi, si è aperto ed è fuoriuscito». Veleno, teme il magistrato. Non è tutto: spunta fuori un mercantile affondato nel 1920, la Federico
II, ma gli atti sono secretati. Da tempo si conosce la presenza promiscua di scafi là sotto, ed è documentata la fuoriuscita di possibili veleni. Ma nessuno ha fornito le procure dei mezzi per verificare. Non è questo rammarico che conta adesso: bisogna
capire se è in atto un depistaggio da manuale.

Quindi – con ampio ritardo – il governo decide di scandagliare i fondali. Non usa l’attrezzata Saipem dell’Eni, capace di recuperare relitti e fusti a migliaia di metri di profondità, con tecnici e scienziati indipendenti. Manda a Cetraro l’Oceano della Geolab, di proprietà degli Armatori del Monte di Procida, all’indirizzo della famiglia Attanasio. L’armatore Diego Attanasio è un 56enne napoletano finito nell’inchiesta sulla corruzione al giudice Mills. I giudici desumono sia Berlusconi (per suo vantaggio) il corruttore. Il premier – smentito dal processo – tirò in ballo Attanasio (che si fece due mesi di carcere): i soldi di Mills erano per
lui. In breve: spedendo in zona l’Oceano – al prezzo di 50 mila euro al giorno per il nolo – si foraggia un amico. Ma l’Oceano è attrezzata con un robot di ultima generazione. Può andare bene. A bordo non vuole nessun tecnico della Regione, che aveva sovrinteso le rilevazioni di metà settembre, a bordo della Copernaut, che “videro” il Cunski. Da qui in avanti i fatti non tornano.

Le immagini filmate dalla Oceano sono diverse da quelle riprese in precedenza. È diverso il fondale, è diverso il relitto. La nave misurata dal mezzo governativo è lunga 95 metri, larga 12. Quella della Copernaut è lunga più di 100 metri, e larga 20. Il relitto è adagiato comodo sul fondale, il presunto Cunski è inclinato di 45 gradi. Nel primo filmato non c’è accenno di vegetazione attorno
alla nave. Nell’altro video è tutto un fiorire, cosa impossibile ai 480 metri di profondità del Cunski. Il sospetto è che il governo abbia cercato un’altra nave, per tacere l’allarme e per non impelagarsi nella ricerca di rifiuti tossici, con le conseguenze e gli imbarazzi economici e politici del caso (si tratta di bidoni smaltiti dopo una trattativa fra Stato e criminalità?). Il Wwf ne è certo:
«La procura di Paola e i tecnici della Regione fissano il relitto da loro filmato a 3 miglia e mezzo di distanza da dove ha operato l’Oceano e dove si troverebbe il mercantile Catania». Le coordinate dell’ufficio idrografico inglese lo confermano. Il caso è chiuso, ha detto il ministro (che ha esagerato: «Volevano usare il Cunski contro di noi»). Non un bidone è stato prelevato dal mare, quando è certo che ci sono 50 navi piene di rifiuti tossici sottacqua. Se n’era accorto il capitano Natale De Grazia, morto d’infarto e curiosità 14 anni fa e alla cui memoria è stato intitolato un lungomare ad Amantea, dieci giorni fa. Non si intitolano le strade ai visionari. Poi un giorno sarà bello raccontarla ai due figli che ha lasciato in terra: una storia, non una favola.

04 novembre 2009

Clima: le foreste sono fritte

In Il Commento on novembre 4, 2009 at 2:20 PM

foretsaCi stiamo perdendo gli alberi. Dalle foreste asciutte dell’Africa elle foreste pluviali asiatiche, ai boschi temperati dell’Australia, alle foreste boreali del Canada, è un susseguirsi di boschi e foreste scomparsi e morie di alberi. Anche i pini delle Alpi ne sono affetti.
Dagli anni settanta ad oggi ben 88 foreste sono scomparse a causa del cambiamento climatico. Lo rivela uno studio del servizio geologico statunitense (U.S. Geological Survey – USGS) rilasciato nella rivista scientifica Forest Ecology and Management.
“Gli alberi muoiono molto più rapidamente di quanto crescano – spiega Craig D. Allen, scienziato alla USGS e autore dello studio – I diffusi esempi di siccità e di mortalità causata dalle temperature più alta mostrano bene come il clima possa portare a impatti improvvisi e su vasta scala sui servizi essenziali delle foreste, che vanno dalla fornitura di legname, alla protezione dei bacini idrici, alla biodiversità, ai servizzi di carattere riceazionale, estetico e spirituale”.

Le foreste sono state sempre identificate con la longevità, simboleggiata dai grandi alberi millenari. Ebbene, gli alberi hanno vita sempre più breve. Il clima è cambiato più volte in passato, ma il ritmo delle glaciazioni seguiva ritmi di millenni, quanto bastava agli alberi per “spostarsi” di generazione in generazione, attraverso la dispersione dei semi. La velocità del cambiamento climatico in corso supera di gran lunga i tempi lenti delle foreste, e gli alberi, semplicemente, iniziano a morire.