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Cosenza,abuso nel parco del Pollino per favorire ENEL

In Ufficio stampa on luglio 31, 2009 at 4:28 PM

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Immagine del parco

Assurdo riattivare una delle più grandi centrali a biomasse d’Europa nel cuore del parco del Pollino, senza alcun rispettato dei vincoli ambientali e con l’assenza della conferenza dei servizi decisoria. Il tutto a vantaggio dell’Enel che con la centrale farà enormi profitti”. Ciro Pesacane, presidente del Forum Ambientalista, denuncia l’abuso nel parco del Pollino (Cosenza) che sta avvenendo in queste ore.

“Dopo questa decisione – aggiunge l’ambientalista – al presidente Pappaterra ed al consiglio direttivo del parco del Pollino non resta altro che prendere atto del fallimento della loro azione e rassegnare le dimissioni. E’ in atto, infatti, un vero e proprio tentativo di violenza, in spregio alle norme italiane e comunitarie, che si sta perpetrando nel voler ad ogni costo assecondare l’interesse dell’Enel di realizzare un mega-inceneritore di legna vergine nella valle del Mercure, al centro di uno dei parchi più ricchi di biodiversità e più grandi d’Europa”.

“Mentre – continua Pesacane – plaudiamo ai sindaci di Viggianello e Rotonda, che con una motivata e dettagliata memoria scritta hanno denunciato il coacervo di irregolarità ed illeggittimità che hanno contrassegnato la vicenda autorizzativa, non possiamo tacere sulle responsabilità politiche di questo tentativo di violenza: la Provincia di Cosenza, quella di Potenza, le Regioni Calabria e Basilicata ed i loro amministratori ne sono gli artefici”.

“Saremo – conclude – al fianco dei cittadini e del forum dei comitati delle associazioni che da anni lottano a tutela dell’ambiente, della salute, degli interessi e dei diritti di un intero territorio, esasperato per le vessazioni antidemocratiche subite”.

La “Otra Salud”, l’emergenza sanitaria che non fa notizia

In Il Commento on luglio 31, 2009 at 4:16 PM

tratto da www.savetherabbit.net

L’influenza suina non fa più paura, ma le condizioni sanitarie nel Sud del Messico restano gravi.

di Mauro Annarumma per Meltin’Pot (Univ. Roma Tre)

3c636fb7244b93bb912b520c00dfa095_medium[1]Dopo settimane di dichiarazioni allarmiste dell’Organizzazione Mondiale per la Salute, che sembrava inseguire i lanci in prima pagina dei principali quotidiani di tutto il mondo sull’influenza suina, è calato il silenzio soporifero sulla paventata pandemia del virus AH1N1. Secondo i dati forniti dal Ministro della Salute messicano, José Angel Cordova, circa il 70% dei casi si sono concentrati nella capitale, dove un ferreo controllo del rispetto delle nuove norme sanitarie avrebbe impedito l’ulteriore diffusione del virus. Le aree limitrofe, come Tlaxcala, Oaxaca e Chiapas, sono state interessate solo marginalmente dall’influenza suina, ma le condizioni sanitarie della regione, la più povera del Messico, restano precarie e l’assistenza medica insufficiente, lasciando la popolazione in uno stato di emergenza sanitaria cronica: è latitante il governo centrale, che tende ad adottare una linea politica discriminatoria verso le popolazioni indigene dell’area e si limita spesso a distribuire fondi pubblici a enti o strutture poco radicate nel territorio, secondo quanto denunciano le organizzazioni umanitarie che operano nell’area, e alle quali è devoluta l’assistenza vera e propria, come la Croce Rossa e Medici senza Frontiere. Come nelle altre aree depresse del Paese, a pagare il prezzo più alto della grave condizione economica e sociale della popolazione sono le donne, vittime dei pregiudizi culturali e delle tradizioni discriminanti che relegano la figura femminile ai margini della società. Le numerose gravidanze, spesso in giovanissima età, vengono portate a termine senza alcun controllo medico, e molte si risolvono con la morte della partoriente. Le precarie condizioni sanitarie si riflettono anche sul rischio di morte per i bambini al di sotto di un anno di vita, oltre il 60% più elevato rispetto alla media nazionale: ogni 10.000 nati vivi, quasi 300 muoiono a meno di 12 anni di età. Tra le cause principali vi sono malattie tropicali o legate alla scarsa qualità della vita, quali bronchiti, dissenterie gravi, colera, tripanosomiasi, febbre gialla, malaria, malattie respiratorie, TBC, parassitosi intestinali, e la denutrizione, che interessa oltre la metà della popolazione indigena e fino all’ottanta per cento della popolazione nella zona della Selva Locandona, non raggiunta da servizi per le acque potabili e fognarie. Il perdurare, inoltre, del conflitto a bassa intensità tra il Governo e le comunità autogestite del Chiapas, rafforza la tendenza dei locali a non usufruire dei servizi sanitari ufficiali, che svolgono anche una funzione di controllo e censimento della popolazione, e moltiplica i tentativi di organizzazione in sistemi autonomi ancora lontani però dal poter garantire una efficace assistenza sanitaria. I servizi sono centrati sulla figura del “Promotore di salute”, depositario della tradizionale medicina maya e della medicina contemporanea, e rappresentano un modello alternativo di sanità al servizio della comunità e, nelle intenzioni, lontano dalle logiche di mercato. Ciononostante, medicinali e strumenti diagnostici vengono ancora forniti dalle organizzazioni umanitarie e dalle associazioni internazionali, rivelando prime contraddizioni di un modello in divenire

Ghana: codice a barre sugli alberi per combattere la deforestazione

In Il Commento on luglio 31, 2009 at 4:00 PM

ico_5cascaGha[1]Per salvare le foreste e fermare il disboscamento ormai dilagante nel paese il governo di terrà un registro elettronico di tutti gli . Attraverso un codice a barre sarà possibile controllarne la vita e il percorso, in modoall’appello non manchi nessun esemplare.

Il ha firmato un con la società britannica , per arrestare l’esportazione di legname tagliato illegalmente.

«Questo sistema permetterà non solo ai governi e alle aziende, ma anche alle Ong e alle Comunità locali, di controllare eventuali irregolarità», ha spiegato Fredua Agyeman, direttore tecnico per il settore delle foreste al ministero dell’Ambiente.

www.blitzquotidiano.it

Droghe, una guerra inutile e costosa

In Il Commento on luglio 30, 2009 at 6:30 PM

Di Giulia Cerino

La mafia della droga si rigenera come l’Idra della mitologia greca. Quando i servizi di lotta contro gli stupefacenti le bloccano la strada, questa cerca un nuovo itinerario. Quando i campi della coca vengono distrutti con polverizzazioni erbicide, la mafia sposta i campi da un’altra parte. La caccia mondiale ai trafficanti ha dato, fin’ora, pochi risultati. Le droghe sono sempre più abbondanti ed economiche, i pusher sempre più potenti e la maggior parte dei paesi esita ancora a ricercare dei metodi alternativi alla repressione limitandosi a persecuzioni schizofreniche, costosissime e contro producenti. Fernando Peinado Alcaraz, giornalista de El Pays, si chiede se ci siano dei modi migliori di vincere la guerra contro la droga. La questione è più che mai d’attualità. In marzo scorso gli esperti si sono dati appuntamento a Vienna per tracciare il bilancio della strategia decennale adottata nel 1998 dall’Onu. In quella sede, i thinkers hanno dovuto ammettere che la guerra contro il traffico aveva fallito e hanno chiesto l’abbandono della strategia repressiva, che fissava l’obiettivo di “un mondo senza droga”. Per raggiungere questo scopo, molti governi hanno scelto di attaccare il male alla radice. Le costose campagne di distruzione delle piantagioni di coca sud-americane, finanziate dagli Stati uniti, hanno fatto sì che le coltivazioni fossero spostate verso luoghi più difficili da raggiungere. La produzione mondiale non è diminuita. Nonostante l’Onu abbia stimato che attualmente circa il 42 per cento della produzione mondiale di cocaina e il 23 di quella di eroina siano state sequestrate al narcotraffico, gli esperti della politica antidroga rimettono in causa la fedeltà delle cifre e, anzi, denunciano che il volume delle vendite al dettaglio nelle città europee o degli Stati uniti non smette di aumentare, come lo prova la discesa del 10 al 30 per cento dei prezzi della droga durante l’ultimo decennio.

Più le forze dell’ordine complicano il lavoro ai “cartelli”, più questi danno prova d’ingegnosità. I “narco-sottomarini” sono un esempio dell’instancabile capacità dei trafficanti di raggirare i controlli della polizia. Costruiti in cantieri navali clandestini, nelle foreste colombiane, questi piccoli sotto-marini si spostano al di sotto della superfice dell’acqua e possono trasportare fino a dieci tonnellate di cocaina verso il ricchissimo mercato americano. I guardia-costiera americani, che hanno già investito milioni di dollari in vigilanza e finanza, nel 2008 hanno intercettato solo una dozzina di semi-sommergibili al mese. Si pensa che quattro su cinque arrivino a destinazione senza esser stati fermati. Peter Reuter, professore all’università del Maryland e uno degli esperti più reputati in materia di strategia antidroga, non crede che optando per la repressione si possa ridurre significativamente la quantità di droga disponibile sul mercato statunitense ed europeo. «Sarebbe più efficace far abbassare la forte domanda nei paesi consumatori piuttosto che ostinarsi a lottare contro l’offerta». Nel rapporto pubblicato a febbraio dalla commissione latino-americana sulle droghe e la democrazia (CI n° 959 del 19 marzo 2009) si legge: «Le politiche proibizioniste non hanno prodotto risultati soddisfacenti. Siamo più lontani che mai dal risultato proclamato». Nonostante le somme considerabili investite nelle politiche antidroga (40 miliardi di dollari negli Usa e 34 miliardi di euro in Europa), solo un euro su quattro è consacrato alla prevenzione. Per tanto tempo le dissidenze contro il discorso proibizionista classico sono state considerate con sospetto. Ora che in America centrale, in Africa dell’est e in Afghanistan gli stati hanno lasciato nelle mani delle mafie locali il monopolio delle droghe, molti si domandano se non fosse stato meglio (o almeno più efficace) proporre un regime di legalizzazione controllato che privasse i trafficanti della loro parte di mercato. «Obama è più incline dei suoi predecessori a cambiare rotta. Questo avrà delle ripercussioni sul resto del mondo e notamente sull’Europa, dove sarà più facile avvicinarsi a delle politiche progressiste». A dirlo è Ethan Nadelmann, direttore esecutivo della Drug Policy Alliance, una Ong che sprona la legalizzazione controllata della vendita di marijuana negli Stati uniti. Il Gruppo di Dublino, creato nel 1990 dagli Stati uniti, l’Unione europea, il Giappone, il Canada, l’Australia e la Norvegia come forum informale per discutere e analizzare i problemi della drogha, non ha fatto che confermare l’assenza, da una parte e dall’altra dell’atlantico, di interesse a trovare dei ponti tra i differenti approcci alla lotta contro il narcotraffico. Questa assenza di comunicazione, di cooperazione e scambio di esperienze ha molti effetti negativi. Dopo oltre dieci anni di tentativi infruttuosi per ridurre la produzione e la consumazione di droghe nel mondo, il momento è propizio per un cambiamento di rotta. Per questo, gli stati e la comunità internazionale dovrebbero cominciare in primis rilevando l’irresponsabilità condivisa e l’inefficacia delle policies attualmente in vigore. Delle politiche repressive italiane, prima di tutto.

Moda e crudeltà: dalla Cina con orrore

In Il Commento on luglio 30, 2009 at 5:52 PM

La tua mamma ha una pelliccia? la mia non ce l'ha più...

La tua mamma ha una pelliccia? la mia non ce l'ha più...

Investigatori della Swiss Animal Protection (SAP) e dell’East International hanno portato alla luce l’orrore che si consuma negli allevamenti di animali da pelliccia in Cina, pellicce esportate poi in tutto il mondo. Gli animali vengono storditi sbattendoli con forza per terra, poi ne vengono amputate le zampe, e inizia l’interminabile agonia della scuoiatura. Purtoppo la maggiorparte di questi animali rimane pienamente cosciente e continua a respirare per una decina di minuti ancora.
La produzione di pelliccie in Cina è agghiacciante: ogni anno si ricavano oltre 1,5 milioni di pelli di volpe, altrettanti di procione, l’11% della produzione mondiale di pelli di visone, incalcolabili i cani, i gatti, i conigli. Numeri importanti, perchè l’industria occidentale della moda decentra gli allevamenti in un Paese in cui non ci sono norme a tutela degli animali e la mano d’opera è a basso costo.
Scarica il video e visita il sito http://www.nonlosapevo.com o www.infolav.org

Bush censurava i ghiacciai: ecco le foto tenute segrete

In Il Commento on luglio 29, 2009 at 4:24 PM

Di  Angelo Aquaro

este_28073201_42180[1]Le foto c’erano, chiare e dettagliate. “Un metro ogni pixel”, gongola Thorsten Markus, il ricercatore tedesco volato da Brema alla Nasa per combattere la battaglia dell’ambiente: “Una risoluzione così non s’era mai vista, trenta volte superiore a quelle che avevamo a disposizione: qui si vede tutto”. Cioè non si vede più nulla, perché il ghiaccio di Barrow, Alaska, non c’è più, sparito, inghiottito da quel mare Artico che è sempre meno Glaciale per il surriscaldamento. Sì, le foto c’erano: mille immagini scattate dal supersatellite intorno a sei siti a rischio sull’Oceano. Peccato che quegli scatti praticamente storici, prova visibile del global warming, fossero stati nascosti, proibiti, censurati: proprio da quel George Bush che già aveva classificato come segretissimi altri studi sull’effetto serra, compreso quello firmato, anno 2004, dal suo stesso Pentagono.

Prendete Barrow: è il villaggio più a nord del mondo, nell’Alaska fino all’altro ieri governata da Sarah Palin, con un occhio più alle trivelle petrolifere che ai ghiacci. Quattromila anime affacciate sul nulla eterno, una stazione del servizio meteorologico nazionale che si arrampicò già alla fine dell’Ottocento, e soprattutto la base del Noaa, il National Oceanic and Atmosphere Administration. Ecco, adesso nelle foto desecretate il disastro si vede a occhio nudo: questo, luglio 2006, è l’Oceano davanti a Barrow come è apparso da che mondo e mondo, con la linea dei ghiacci all’orizzonte, e questa è la stessa foto scattata nel luglio 2007, nulla di nulla: la striscia bianca non c’è più.

 

Le foto, straordinarie davvero, sono state fatte spuntare dal cassetto da un’agenzia governativa, l’Osservatorio geologico degli Stati Uniti, a poche ore dall’allarme lanciato sul clima dall’Accademia nazionale delle scienze, in una mossa che si presume concordata con lo staff dell’amministrazione Obama. L’ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l’approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei “diritti” (ovviamente costosi) di inquinamento. Ora per il piano si prevede però una dura battaglia al Senato, dove già il presidente ha il suo bel da fare con la riforma sanitaria.

Ma le foto nascoste e riapparse aprono anche un altro fronte di lotta: quello per la sopravvivenza della ricerca scientifica. Dice Jane Lubchenco del Noaa: “Immagini come queste ormai sono la prova che cerchiamo, ma la flotta dei satelliti spia non è stata rimpiazzata e ora rischiamo il collasso. Lottiamo in un campo di battaglia in cui l’America si presenta cieca”. In febbraio, scrive Suzanne Goldeberg, esperta di ambiente dell’inglese Guardian, un satellite della Nasa che trasportava strumenti per produrre la prima mappa dell’emissione di carbone intorno alla Terra è caduto nell’Antartico appena tre minuti dal decollo.

Non è un segnale incoraggiante. Ora nel piano di Obama ci sono 170 milioni per recuperare il gap. Per l’istituto di ricerca che lotta nei posti più impervi, come sulla trincea del nulla di Barrow, ne servono altri 390. Bush e Cheney facevano presto a risolvere il problema: bastava nasconderlo nel cassetto. Ma oggi il clima è cambiato, anche alla Casa Bianca. Peccato che insieme ai ghiacci siano spariti anche i fondi.

www.repubblica.it

Chiuso il teatro del Rialtosantambrogio, la questura di Roma torna all’attacco

In Ufficio stampa on luglio 28, 2009 at 6:08 PM

l_9f57475d2cfa4f6babaf4695f9160d29[1]“Oggi martedì 28 luglio il commissariato Trevi Campo Marzio appone i sigilli anche nella sala teatro e nel cortile interno del Rialto, gli unici spazi rimasti finora liberi dal sequestro già eseguito con lo sproporzionato blitz del 20 marzo scorso”.

“ E’ vergognoso, a Roma si sta affermando in maniera sempre più netta un clima intollerante ed oscurantista”.

A dichiararlo è Ciro Pesacane, presidente del Forum Ambientalista commentando l’ennesima operazione repressiva eseguita dalla questura ai danni del centro sociale storico della capitale “Rialtosantambrogio”.

“Con quest’ ultima azione di polizia -prosegue Pesacane- si tenta di chiudere definitivamente il progetto culturale del Rialto che da oltre 10 anni opera nella città di Roma, e si scardinano definitivamente le giustificazioni della Giunta Alemanno che differenziava pretestuosamente le attività culturali da tutelare e promuovere dalle attività commerciali da reprimere”.

“Chiudere il teatro del rialto con sequestro preventivo, vuol dire voler impedire il protrarsi dello svolgimento del ”reato” dell’attività teatrale”.” Non c’è niente di più degradante per una società libera di vedere operare l’ordine pubblico per impedire rappresentazioni teatrali”.

“Il Comune di Roma anche questa volta si dichiara estraneo all’iniziativa della questura – conclude Pesacane- e quindi appare evidente che così facendo si dichiara manifestamente incapace di alcuna mediazione, magari sottoposto a strane pressioni di entità esterne all’amministrazione, o altresì si nasconde da ogni responsabilità.

Quattro lupi trovati morti in un cassonetto; tre cuccioli con la mamma, indignati gli ambientalisti

In Il Commento on luglio 27, 2009 at 3:37 PM

Quattro , una e , sono stati uccisi e le carcasse sono state trovate in un cassonetto per rifiuti alla periferia di Rocchetta Sant’Antonio.

Il ritrovamento mette di fatto, ancora una volta, sotto accusa anche gli allevatori di ovini che negli ultimi mesi hanno subito attacchi ai loro greggi. Secondo le denunce presentate sarebbero una cinquantina i capi uccisi dai lupi.

Il 16 giugno scorso un’altra carcassa di lupo, ucciso con un fucile, è stato trovato alla periferia di Rocchetta Sant’Antonio. Si tratta sia di un danno patrimoniale, che ammonterebbe a circa 150mila euro, che faunistico perché il lupo appenninico è una vera rarità in provincia di : venti sarebbero gli esemplari presenti in Capitanata e mille in tutta Italia.

Sull’uccisione dei lupi sono in corso indagini dei carabinieri.

www.blitzquotidiano.it

Uno spettacolo bestiale…

In Il Commento on luglio 27, 2009 at 1:06 PM

corrida_afb_1[1]Tra tutti gli spettacoli bestiali,la corrida penso che sia a buon diritto il re, e non solo perché viene usato un’animale, il toro, ma perché viene torturato in maniera sistematica e crudele a seconda della sua forza e voglia di vivere.
Voglio illustrarvi quella spagnola che è quella che io ho visto e ancora non dimentico, e forse è uno dei motivi per cui mi sono deciso a diventare vegetariano.
Innanzitutto il toro viene tenuto al buio prima di entrare nell’arena,l’apertura della porta già gli provoca un discreto shock, ma gli viene subito conficcato addosso un arpioncino con i colori del suo allevamento, e già questo più l’apertura all’improvviso della porta, la luce e gli strilli delle persone lo fanno innervosire.
Inizia ora la vera tortura, entrano i picadores a cavallo con la vara de picar, una lancia in legno e punta a tre lame piramidali con la quale verrà infilato il toro sul collo tre o quattro volte a testa, i picadores sono tre in genere. I cavalli vengono protetti con delle coperture pesanti perché possano ripararsi dalle cornate del toro, ma a volte capita che alzi il cavallo con tutto il cavaliere e addirittura sventri il cavallo stesso.
Ma ancora non finisce, vengono fatti uscire i picadores ed entrano i banderilleros, che hanno in mano le banderillas, che sono dei bastoncini di legno di 70cm con in cima un arpione che viene conficcato sul muscolo del collo.
Le banderillas hanno il compito di far innervosire il toro ancora di più, dopo essere stato sfiancato dai picadores, pure loro sono sono tre e conficcano nel collo due banderillas a testa.
Non siamo ancora alla fine, il toro ormai è stordito, potrebbe bastare così, cammina e carica a testa bassa perché sente le ferite dei picadores,infatti questi hanno il compito di infilare le lance nel collo proprio per farlo stare a testa bassa perché alla fine il torero possa infilare la spada dalla scapola al cuore per ucciderlo.
Il toro si fa sempre meno aggressivo, a causa delle ferite e le sue cariche sempre meno precise e forti, allora il torero lo stordisce ancora di più agitando davanti a lui il capote che è il manto rosso per farlo muovere, quando il toro si ferma è ormai segno che è finito e il torero cambia il capote con la muleta che è sempre rossa ma più leggera e che può manovrare con una mano sola, mentre con l’altra tiene dietro la schiena la spada.
Ora il toro è totalmente imbambolato,fermo e il torero in atto di sfida si mette in ginocchio davanti a lui, è la resa del toro, ma non basta ancora, il torero si avvicina e gli infila la spada sulla scapola fino ad arrivare al cuore.
A volte capita che il colpo non sia mortale ed allora si deve togliere la spada e infilarla nuovamente.
Capita che il toro non sia affatto domato e che trovi la forza di scornare pesantemente il torero a volte ferendolo a morte.
Uno spettacolo agghiacciante, dopo la corrida, è quando il toro viene trascinato per l’arena da una coppia di cavalli imbizzarriti per le urla della gente e l’odore del sangue.
Questa è la corrida, che parecchi in spagna definiscono un’arte e uno spettacolo, a me è sembrata una tortura legalizzata, la corrida si pratica anche in certi paesi dal sud della Francia e in America Latina.

http://perquelchemiriguarda.blogspot.com

Soldi a chi conserva, non a chi brucia

In Il Commento on luglio 27, 2009 at 12:32 PM

Di Antonio Cianciullo

albero%20piccoloBERTORELLI[1]E se per sconfiggere gli incendi occorresse ridurre il gettito dei finanziamenti anziché aumentarlo? E se si cominciasse a premiare con gli incentivi chi mantiene i boschi intatti invece di far arrivare i soldi dove gli alberi bruciano? Tra il 2000 e il 2005 l’ex presidente del parco dell’Aspromonte, il sociologo Tonino Perna ha applicato questo radicale rovesciamento di prospettiva al territorio che gli era stato affidato e il risultato dell’esperimento ha fornito una risposta netta: rispetto al resto della provincia di Reggio Calabria, gli incendi per chilometro quadrato sono stati otto volte inferiori e la spesa per chilometro quadrato 25 volte più bassa. Perna aveva diviso il territorio del parco in nove zone che erano state affidate a un’associazione di volontariato: il 50 per cento dei compensi, per coprire le spese vive della sorveglianza, veniva versato alla firma del contratto, il resto a fine stagione, ma solo a condizione che gli incendi nell’area da controllare non superassero lo 0,4 per cento della superficie in affidamento. Ha funzionato ma l’esperimento – a parte poche eccezioni come quella organizzata dal presidente del parco del Pollino Domenico Pappaterra – non è stato replicato. Evidentemente si preferisce la logica dell’«emergenza».

tratto da: http://cianciullo.blogautore.repubblica.it/