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Rete Disarmo: “il Governo non deve cambiare da solo la legge sull’export di armi”

In Senza categoria on ottobre 19, 2010 at 5:44 PM

Foto: Disarmo

“No alla Legge Delega come strumento per sistematizzare la materia dell’export di armi”. Lo afferma con forza un comunicato della Rete Italiana per il Disarmo che chiede al Governo di rivedere l’iter della legge e annuncia una campagna nazionale di mobilitazione.

Con l’approvazione in Consiglio dei Ministri il 17 settembre scorso, infatti, il Governo ha messo in atto (si attende una prima firma del Presidente Napolitano per l’ingresso in Parlamento) la modifica della legge 185 del 1990, cioè la legislazione che da venti anni pone l’Italia all’avanguardia sul controllo del commercio di armamenti. Una delegazione di Rete Italiana per il Disarmo è stata convocata venerdì 15 ottobre dal Consigliere Militare di Palazzo Chigi, Ammiraglio Picchi, per un incontro con le strutture tecniche che hanno seguito la stesura del provvedimento ricevendo la spiegazione a grandi linee, dei contenuti del Disegno di legge delega.

L’iniziativa legislativa – hanno spiegato i tecnici del Consigliere Militare – nasce dalla necessità di recepire una direttiva comunitaria (la Direttiva 2009/43/CE che “semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa” in .pdf ) ed intende armonizzare le legislazioni di tutti i paesi UE e soprattutto favorire una integrazione del mercato comunitario di questa industria. “Ma tutto questo presenta il rischio di una perdita di trasparenza ed informazione, soprattutto per l’Italia” – sottolinea la Rete Disarmo.

L’Europa ha infatti introdotto nuovi tipi di licenze per le vendite internazionali di armi o di parti di armi: con la licenza globale e quella generale si potranno autorizzare una volta per tutte trasferimenti di alcune classi di prodotti o trasferimenti originati da una singola industria. Con i controlli tutti spostati alla fine del processo. Una dinamica che, se non ben controllata, rischia di far partire una serie di triangolazioni verso paesi problematici sfruttando come trampolino di lancio paesi europei in cui i controlli sono meno precisi.

“Al di là degli aspetti tecnici, che ci riserviamo di approfondire e commentare una volta letto il testo del Disegno di Legge di iniziativa governativa – afferma Chiara Bonaiuti, direttrice dell’Osservatorio sul Commercio di Armi (Os.C.Ar) di IRES Toscana – non condividiamo la forma della Legge Delega, con la quale si riduce il potere del decisore legislativo di regolamentare una materia che tocca i temi della politica estera italiana e della human security, sottraendo al Parlamento e alla società civile una titolarità che era stata al centro di tutto l’impianto della legge n.185/90”.

La prima richiesta al Governo della Rete Italiana per il Disarmo è quindi quella di un ripensamento sull’iter della legge, “anche perché a nostro parere un Disegno di Legge normale avrebbe anche strada più veloce garantendo il recepimento nei tempi dettati dalla Unione Europea (30 giugno 2011), una delle preoccupazioni maggiori esplicitate dai rappresentanti governativi durante l’incontro”.

“Il punto vero è cercare di cogliere questa necessità come un’occasione positiva di un rilancio (anche a livello internazionale) del controllo degli armamenti quello che ad oggi ci sembra sia trattato solo come obbligo di natura comunitaria” – hanno affermato durante l’incontro padre Alex Zanotelli ed Eugenio Melandri, partecipanti all’incontro nella delegazione di Rete Disarmo perché protagonisti a suo tempo di quella grande spinta della società civile che portò all’approvazione della legge 185/90. “Non dimentichiamoci che in questo biennio è in discussione all’ONU il Trattato sui Trasferimenti di Armi (ATT) e che l’Europa stessa non ha un sistema vincolante di norme sulle armi: la Posizione Comune attualmente in vigore non è vincolante né sanzionatoria e non possiede un sistema omogeneo di dati. L’Italia potrebbe mettersi alla testa di un grande rinnovamento e miglioramento della situazione internazionale, ma ciò deve partire da un ampio dibattito sia nell’opinione pubblica che in parlamento” – hanno evidenziato i due esponenti a margine dell’incontro. L’Italia potrebbe mettersi alla testa di un grande rinnovamento e miglioramento della situazione internazionale, ma ciò deve partire da un ampio dibattito sia nell’opinione pubblica che in parlamento”, hanno concluso i due esponenti a margine dell’incontro.

Achille Tagliaferri delle ACLI, intervenuto in rappresentanza di Tavola della Pace ha poi ricordato che “la recente crescita esponenziale del nostro export militare non ci può lasciare indifferenti in un mondo dominato dai conflitti e in cui le spese belliche stanno aumentando mentre la crisi economica è così profonda”.

“Di certo il nostro intento non vuole essere quello della difesa alla lettera della legge attuale (in .pdf) – sottolinea Giorgio Beretta, esperto della Rete Disarmo – ma sicuramente del suo spirito e soprattutto dei suoi alti standard di trasparenza: non vogliamo perdere nulla delle informazioni che già vengono fornite ed anzi vogliamo stimolare una regolamentazione ancora più precisa dei dati che dovranno essere pubblicati ogni anno, chiedendo con forza che l’Italia si faccia promotrice di un’armonizzazione virtuosa degli standard informativi presso tutti i paesi UE. Inoltre non vogliamo che ‘spariscano’ come successo recentemente tabelle e dati che ci sono utili ad analizzare per esempio i flussi finanziari di appoggio al commercio di armi. Non va dimenticato, infatti, che quelle informazioni furono introdotte nella legge 185/90 a seguito degli scandali di trasferimenti di armamenti verso Iraq, Iran e Sudafrica che all’epoca era sotto embargo: i fondi di questo traffici arrivavano tra l’altro alla filiale della Banca Nazionale del Lavoro di Atlanta negli USA. E in tempi di terrorismo internazionale il controllo e la trasparenza sulle transazioni bancarie è quanto di più necessario” – conclude Beretta.

Il disegno di Legge prevede poi il recepimento di una posizione comune UE del 2003 sugli intermediari di armi (i cosiddetti broker): solo le aziende avranno titolarità ad intermediare in tale commercio. “Il principio ci sembra interessante e positivo – conclude Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – ma il problema vero è che in tutto questo provvedimento le armi piccole e cosiddette leggere restano escluse. Sono queste le vere armi di distruzione di massa in giro per il mondo, le più pericolose e quindi quelle che andrebbero maggiormente controllate. Perciò anche a questo riguardo come Rete chiediamo di cogliere l’occasione e inserire sotto un unico sistema articolato di controlli anche queste tipologie di armi”.

La Rete Italiana per il Disarmo annuncia che farà partire a breve una campagna nazionale di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e del Parlamento, che dovrà nei prossimi giorni iniziare a farsi carico del percorso di discussione del Disegno di Legge. Le richieste centrali di tale mobilitazione saranno:

1) No alla Legge Delega come strumento per sistematizzare la materia dell’export di armi

2) Si all’occasione del recepimento della direttiva UE per determinare con certezza controlli e strumenti di pubblicazione dei dati sull’export militare italiano. L’Italia dovrebbe farsi promotrice in seno UE (anche per la grande esperienza di venti anni di 185!) di un innalzamento forte degli standard di trasparenza sulle armi.

3) Si al recepimento della posizione comune UE sugli intermediari di armi, con le limitazioni ad aziende per questi tipi di affari, ma solo se anche le armi piccole o leggere saranno ricomprese nella stessa normativa.

La redazione

Salta l’assemblea dei sindaci di Ato2 Campania. Salta la privatizzazione. Per ora…

In Senza categoria on ottobre 19, 2010 at 5:24 PM

Grazie ai comitati per l’acqua pubblica della Campania ieri 18 ottobre è stato sventato il tentativo di approvazione della delibera del Consiglio di Amministrazione dell’Ato2 che avrebbe accelerato i processi di privatizzazione dell’acqua nei comuni di ato2 .

I comitati sono intervenuti all’inizio dell’assemblea ricordando che con un 1.400.000 mila firme i cittadini italiani hanno espresso la volontà di pronunciarsi tramite referendum sulle leggi di gestione del sevizio idrico che oggi permettono la privatizzazione e chiedono quindi di fermare qualsiasi affidamento ad società per azioni, sia miste che a capitale pubblico, come vorrebbe il CDA dell’Ato2.

Hanno poi espresso la preoccupazione per l’acqua della città di Napoli, gestita dall’Arin (spa a totale capitale pubblico), in quanto il 31 dicembre 2010 anche l’ARIN SpA, secondo la legge Ronchi, dovrà cedere almeno il 40% della proprietà.

I delegati del Comune di Napoli hanno lasciato l’aula dicendo di non essere stati delegati dal sindaco di Napoli per l’approvazione della delibera di Ato2, senza però esprimersi sulla ripubblicizzazione del servizio idrico a Napoli. Questo dimostra che, nonostante sia possibile già da ora e lo abbiamo dimostrato, trasformare l’ARIN in azienda speciale senza scopo di lucro, manca la volontà politica di fare un passo che impedisca l’ingresso dei privati nella gestione del SII (servizio idrico integrato).

I comitati di Napoli insieme alle centinaia di comitati in Italia stanno lavorando sui territori affinché il Parlamento approvi una doverosa proroga delle scadenze della legge Ronchi ed della soppressione degli Ato.

Per questo nei prossimi mesi continueremo l’impegno affinché questo avvenga e ci stiamo preparando alla grande mobilitazione nazionale del 4 dicembre prossimo con manifestazioni regionali in tutta Italia per fermare i processi di privatizzazione ed andare al referendum a “bocce ferme”. È una questione di democrazia.

Si scrive acqua si legge democrazia

Comitato Acqua Pubblica Napoli e Provincia.

l’emergenza risorse Nel 2030 ci vorranno 2 Terre

In Senza categoria on ottobre 19, 2010 at 8:32 am

 Living Planet Report del 2010 indica un’accelerazione del consumo di fonti disponibili rispetto a quelle che si rigenerano e un depauperamento sempre più rapido. I maggiori squilibri negli Emirati, Usa, Belgio e Danimarca. Lo stile di vita dell’Italia richiederebbe una media di 2,8 pianeti di ANTONIO CIANCIULLO

Consumiamo un pianeta e mezzo, cioè utilizziamo più risorse di quelle che si rigenerano e colmiamo la differenza divorando il patrimonio naturale della Terra. Nel 2030, in assenza di una drastica correzione di rotta, arriveremo ad aver bisogno di due pianeti. Sono i dati contenuti nel Living Planet Report, il rapporto biennale realizzato dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network. Il volume, frutto di un lavoro di due anni di ricerca, esamina la situazione non dal punto di vista ambientale ma anche economico. Ecco i punti principali.

BIODIVERSITA’. Nell’anno internazionale della biodiversità, a pochi giorni dall’apertura della Conferenza di Nagoya che dovrà decidere le nuove strategie per fermare il tasso di perdita della biodiversità al 2020, il quadro è preoccupante. L’obiettivo della Convenzione sulla Biodiversità, proteggere il 10% di ogni regione ecologica, è stato raggiunto solamente nel 55% delle ecoregioni terrestri. Dal 1966 la pressione umana è raddoppiata, mentre lo stato di salute delle specie globali è diminuito del 30 per cento. Questo 30 per cento è una media tra il miglioramento nella zona temperata (più 29 per cento rispetto al 1979) ottenuto grazie agli sforzi nel campo della conservazione e un declino che ai tropici arriva al 60 per cento.

L’IMPRONTA ECOLOGICA. Per vivere entro i limiti della capacità del pianeta senza compromettere le generazioni future bisognerebbe che ogni abitante del pianeta si accontentasse di 1,8 ettari per ottenere le risorse di cui ha bisogno e per smaltire i rifiuti. Non è così. Se tutti adottassero lo stile di vita di un abitante medio degli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti a disposizione, con lo stile di vita di Stati Uniti, Belgio e Danimarca ce ne vorrebbero 4,5, per Canada e Australia 4. Ma anche l’Italia – osserva il rapporto – non brilla per leggerezza: a ciascun italiano servono infatti ben 5 ettari globali per soddisfare il suo stile di vita, un valore equivalente alla capacità produttiva di 2,8 pianeti, che ci porta al 29° posto della classifica, subito dopo Germania, Svizzera e Francia, ma molto prima dei più virtuosi Regno Unito, Giappone e Cina.

ECONOMIA. La crisi economica che stiamo vivendo s’intreccia con la minaccia di bancarotta ecologica. Sovrappopolazione, sprechi, disattenzione hanno portato a un saccheggio crescente delle materie prime e delle fonti energetiche che oggi hanno un andamento fortemente instabile dal punto di vista dei prezzi e disastroso dal punto di vista ambientale: la depurazione dell’acqua, la fertilità del suolo, la stabilità dell’atmosfera (e quindi del clima) sono servizi gratuiti che la natura offre e che la crescita umana senza controllo sta minando. “I paesi che mantengono alti livelli di dipendenza dalle risorse naturali stanno mettendo in pericolo le loro stesse economie  –  ricorda Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network  –  I paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura non solo aiuteranno gli interessi globali, ma saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette.”

LA DIRETTA. La presentazione del rapporto è avvenuta in diretta mondiale webcast con la partecipazione della giornalista di Al Jazeera Veronica Pedrosa. A Repubblica Tv 1, due esperti del Wwf (il direttore scientifico Gianfranco Bologna e la responsabile per la sostenibilità Eva Alessi) hanno risposto in diretta alle domande che hanno insistito molto sulle possibilità concrete di azione per superare sia la crisi ambientale che quella economica.