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Stop alla Fiat, il giudice reintegra i tre operai licenziati

In Senza categoria on agosto 10, 2010 at 1:44 PM

Il licenziamento di tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat (due dei quali delegati della Fiom), deciso dall’azienda il 13 e 14 luglio scorso, ha avuto carattere di ”antisindacalita”’ ed e’ quindi stato annullato dal giudice del lavoro, che ha ordinato l’immediato reintegro dei tre nel loro posto. Lo si e’ appreso stamani. La notizia e’ stata confermata dal segretario regionale della Basilicata della Fiom, Emanuele De Nicola, secondo il quale ”la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volonta’ di reprimere le lotte a Pomigliano d’Arco e a Melfi e di ‘dare una lezione’ alla Fiom”.

I tre operai – Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli – furono licenziati perche’, durante un corteo interno, secondo l’azienda bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale ad operai che invece lavoravano regolarmente. In seguito prima alla sospensione, l’8 luglio scorso, e poi al licenziamento dei tre operai vi furono a Melfi scioperi e proteste. I tre operai licenziati – uno dei quali si e’ sposato cinque giorni fa – occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi: vi fu anche una manifestazione promossa dalla Fiom-Cgil. Secondo De Nicola, ”la sentenza dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema ‘lotte uguale eversione o sabotaggio’ e’ stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalita’ istituzionali o rappresentanti degli imprenditori. Speriamo – ha concluso il dirigente lucano della Fiom – che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro”.

Roma: coppia gay si scambia un bacio in spiaggia, cacciati dallo stabilimento

In Senza categoria on agosto 10, 2010 at 1:34 PM

gay spiaggia”Si stavano baciando in spiaggia, quando un dipendente dello stabilimento balneare ha chiesto loro di smetterla e di allontanarsi perché segnalati da tre bagnanti che si ritenevano infastiditi dai loro baci”. Lo racconta il responsabile dell’Ufficio Legale di Arcigay Roma Daniele Stoppello spiegando che l’episodio e’ avvenuto alla fine di luglio sul litorale di Ostia a Roma, nello stabilimento balneare ”Settimo Cielo” frequentato da anni dalla comunita’ omosessuale. Protagonisti due ragazzi ventenni, entrambi romani, che hanno discusso con il dipendente dello stabilimento, davanti a parecchi testimoni, e poi hanno chiamato le Forze dell’Ordine, intervenute per riportare la calma.

”A due ragazzi viene chiesto di allontanarsi a causa di un bacio: e’ un fatto molto grave – afferma il presidente di Arcigay Roma Fabrizio Marrazzo – che una coppia gay debba ricevere un simile trattamento e subire un’aggressione verbale. Nelle ultime settimane si sono verificati episodi analoghi anche in altre citta’: un segnale di quanto sia necessario promuovere una nuova cultura nella societa’, anche in settori strategici per il nostro paese, come quello del turismo. Ci auguriamo – continua Marrazzo – che il gestore dello stabilimento si dissoci dal gesto di questo dipendente e valuti tutte le conseguenze del caso. Il prossimo fine settimana distribuiremo volantini sul litorale per ribadire la forza di amori e baci alla luce del sole”.

”Proprio per sottolineare il disagio che questo episodio ha arrecato ai due ragazzi – aggiunge Stoppello – chiederemo un risarcimento danni al dipendente dello stabilimento perche’ e’ stato compromesso il diritto di godimento di un bene demaniale in condizioni di parita’ dei diritti e delle liberta’. E’ necessario fare in modo che comportamenti simili non si ripetano mai più”.

Giornata dei popoli indigeni: Survival, “devastante l’impatto delle grandi dighe

In Senza categoria on agosto 10, 2010 at 1:28 PM

La cover del rapporto di Survival – Foto: © E. Lafforgue/Survival

E’ “devastante” l’impatto che la costruzione di grandi dighe sta avendo sui popoli indigeni della terra. Lo documenta il rapporto “Il ritorno delle grandi dighe” (in .pdf) presentato ieri Survival International in occasione della ‘Giornata internazionale dei popoli indigeni’. Citando casi in Asia, Africa e Americhe, il dossier di Survival sottolinea gli altissimi costi umani e ambientali dell’energia “pulita” generata dai grandi impianti idroelettrici. “La corsa alla costruzione di enormi dighe ha assunto la forma di un vero e proprio boom- afferma Survival. La sola Banca Mondiale sta sostenendo con 11 miliardi di dollari la realizzazione di 211 progetti idroelettrici in vari paesi del mondo.

“L’impatto delle grandi dighe sui popoli indigeni è spesso taciuto e profondissimo” – evidenzia l’associazione che sal 1969 è attiva nella tutela dei loro diritti. “La tribù amazzonica degli Enawene Nawe ha appreso che le autorità brasiliane progettano di costruire 29 dighe sui fiumi che scorrono nelle loro terre: nella sola Amazzonia, i popoli incontattati che saranno colpiti dai progetti idroelettrici sono 5. Centinaia di indigeni brasiliani si riuniranno in settimana per protestare insieme contro la controversa diga Belo Monte, che minaccia le terre di molte tribù e le fonti di cibo indispensabili alla loro sopravvivenza mentre i Penan del Sarawak rischiano lo sfratto a causa della diga di Murum.

Il caso che più direttamente riguarda l’Italia è quello della contestata diga Gibe III che potrebbe condannare le tribù etiopi della bassa Valle dell’Omo alla dipendenza dagli aiuti alimentari. Al riguardo lo scorso marzo la rete di ong europee Counter Balance, Friends of Lake Turkana, Survival International, International Rivers e l’italiana CRBM hanno lancaito la campagna ‘Stop a GIBE 3‘ e promosso una petizione online per chiedere lo stop ai finanziamenti internazionali e italiani per la costruzione della diga di Gibe III, in Etiopia. A fine luglio la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) con un comunicato ufficiale ha dichiarato che “non è più coinvolta in alcun modo nel progetto della diga di Gibe III in Etiopia”, ma – nonostante le pressioni delle associazioni – non vi è stato ancora alcuna risposta da parte del Governo Italano riguardo al possibile finanziamento del Ministero degli Esteri italiano alla costruzione della diga.

Anche l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) con un comunicato per la Giornata internazionale evidenzia che lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali minaccia la sopravvivenza delle popolazioni indigene in tutto il mondo. “La documentazione raccolta sulla situazione dei popoli indigeni in Africa, Asia e America Latina dimostra le catastrofiche conseguenze della brama per l’oro, il rame, il petrolio, il gas e l’uranio, del disboscamento delle foreste e del mutamento dei corsi di fiumi dovuti a progetti idroelettrici” – afferma APM.

Le miniere situate in territori indigeni contaminano le fonti di acqua potabile e la progressiva perdita di territorio impedisce alle comunità indigene di procurarsi sufficiente cibo grazie alla caccia, alla pesca o all’agricoltura. Le comunità indigene del mondo perlopiù chiedono semplicemente di poter continuare a vivere dignitosamente e indisturbati sulla loro terra ancestrale, secondo le loro millenarie tradizioni.

L’associazione – che ha sede a Bolzano – denuncia inoltre che “i miglioramenti legali raggiunti a partire dal 1994 con il primo decennio Onu per i Popoli Indigeni sono finora rimasti solo sulla carta”. “Di fatto – sottolinea APM – la maggior parte degli stati nazionali non rispetta gli impegni internazionali presi e fintanto che le popolazioni indigene non verranno incluse come partner paritetici in tutte le decisioni che vanno a toccare le loro condizioni di vita, la loro situazione non solo non migliorerà ma andrà inesorabilmente peggiorando”.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon nel suo messaggio in occasione della ‘Giornata internazionale dei popoli indigeni’ evidenzia che “i popoli indigeni nel mondo hanno conservato gran parte della storia culturale dell’umanità. Essi parlano la maggior parte delle lingue del mondo e hanno ereditato e trasmesso un bagaglio di conoscenze, forme artistiche e tradizioni culturali e religiose”. Ma – afferma Ban Ki-moon – “i popoli indigeni sono ancora vittime del razzismo, delle cattive condizioni di salute e della povertà estrema. In molte società le loro lingue, religioni e tradizioni culturali sono stigmatizzate ed esecrate”.

Il primo rapporto in assoluto delle Nazioni Unite sullo Stato dei Popoli Indigeni nel Mondo nel gennaio 2010 (in .pdf) ha riportato delle “statistiche allarmanti” – sottolinea Ban: “in alcuni paesi i popoli indigeni sono 600 volte più esposti al rischio di contrarre la tubercolosi rispetto al resto della popolazione; in altri, invece, un bambino indigeno muore 20 anni prima rispetto a un suo compatriota non indigeno”.

Dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite dei Diritti dei Popoli Indigeni, adottata dall’Assemblea Generale nel 2007, delinea un quadro normativo per i governi da usare nel consolidare i rapporti con i popoli indigeni e nel rispetto dei loro diritti umani. Da allora abbiamo visto più governi impegnati nel combattere ingiustizie economiche e sociali, attraverso la legislazione e altri mezzi, e le questioni dei popoli indigeni hanno acquisito maggiore rilevanza sull’agenda internazionale come non era mai accaduto prima. Ma dobbiamo fare ancora di più – conclude Ban Ki-moon.

La ‘Giornata internazionale dei popoli indigeni’ si celebra ogni anno il 9 agosto, in concomitanza con l’anniversario della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (in inglese .pdf), l’unica legislazione internazionale che riconosce e protegge i diritti territoriali delle comunità